Daniele Valle
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Tag Archivio per: #RiformaCostituzionale

15 BUFALE SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE (WIRED)

Cosa Penso

A una decina di giorni dal referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre, i social network e la rete sono invasi da propaganda politica a favore del sì e del no. Così come nel caso delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, più ci si avvicina alla data del voto e più si moltiplica la condivisione di informazioni poco accurate, per non parlare di bufale a tutti gli effetti.

Ecco quindi una lista delle false verità che si leggono in questi giorni, a favore sia dell’uno sia dell’altro schieramento. L’obiettivo? Favorire un voto più consapevole e informato.

 

1. Con il sì NON aumentano le firme per indire un referendum
Se la riforma verrà approvata, basteranno (proprio come ora) 500mila firme per indire un referendum abrogativo. La soglia di 800mila firme a cui spesso si fa riferimento è una novità, ma la norma riformata serve a favorire l’approvazione di un referendum.

Se le firme raccolte raggiungono quota 800mila, infatti, non sarà più necessario un quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto ma solo un quorum del 50% più uno dei cittadini che hanno votato alle precedenti elezioni politiche, ossia si abbasserà di molti punti percentuali.

2. All’interno del seggio NON si deve usare una penna
Una bufala – con tanto di foto – molto popolare sui social diffonde allarmismo dicendo che “al referendum non lasciare che cancellino il tuo voto! Non usare la matita che ti danno! Porta con te una biro e usa quella! #iovoto”. Nella cabina elettorale si vota sempre con la matita copiativafornita al seggio, mentre se si esprime la propria preferenza con una penna(magari portata da casa) si ottiene come unico risultato l’annullamento del proprio voto.

Il rischio che il voto espresso a matita venga cancellato e modificato non c’è, dal momento che le speciali matite copiative a disposizione lasciano pigmenti visibili sul foglio anche nel caso in cui si tenti di cancellare il segno tracciato. La bufala, nata probabilmente con intento ironico, è stata analizzata nel dettaglio da Bufale.net.

3. Una parte della Camera NON sarà composta da non-eletti
Tutta la Camera continuerà a essere eletta sulla base dell’esito delle votazioni, e una parte dei seggi verrà assegnata come premio di maggioranza. Anche chi accederà alla Camera con questo premio, comunque, sarà scelto in base ai voti degli elettori, e non certo nominato a caso in base alla volontà del partito che si è aggiudicato il premio. Il 100% delle persone che finiranno alla Camera, dunque, sarà di fatto votato dai cittadini.

4. Se vince il no il governo NON deve dimettersi
Sarebbe una pesante sconfitta politica, certo, ma non esiste alcuna norma che stabilisca le dimissioni di un governo per una bocciatura in un referendum. Il governo dipende esclusivamente dalla fiducia del Parlamento, mentre la votazione riguarda solo la Costituzione.

Indipendentemente dall’esito del referendum, se il parlamento continuerà a confermare la fiducia, il governo potrà proseguire fino al termine del proprio mandato nell’aprile 2018. Così come sarà libero di dimettersi in qualunque momento.

5. Il Senato NON sarà composto da non-eletti
L’idea alla base della formazione del nuovo Senato è l’elezione indiretta, presente in altre democrazie. In Italia, per esempio, il primo ministro non viene eletto direttamente dal popolo ma votato dal parlamento sulla base della nomina del presidente della Repubblica.

I membri del nuovo Senato sarebbero prescelti direttamente in occasione delle elezioni comunali o regionali attraverso le preferenze degli elettori. Sia però chiaro che al momento non è ancora stato stabilito precisamente come avverrà questa elezione, poiché il tutto è rimandato a una legge successiva all’approvazione della riforma.

6. Le modifiche all’articolo numero 117 NON sono segrete
Secondo una delle bufale più cliccate, i partiti a favore del sì starebbero evitando e tenendo nascosto un articolo: il numero 117. Questo articolo – secondo la bufala – “potrebbe significare la perdita della sovranità nazionale“ perché con l’approvazione della riforma “dentro la nostra Costituzione ci sarà scritto che l’Italia dovrà seguire gli ordini di Bruxelles“.

In realtà il testo dell’articolo 117 riformato dice che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali”, e l’unica differenza rispetto alla versione precedente dello stesso articolo sono le parole “dell’Unione Europea” al posto di comunitario. Non c’è quindi alcuna differenza in termini di vincoli, indipendentemente dall’esito del referendum, ma solo una modifica del nome con cui ci si riferisce all’Ue.

7. Con il sì NON ci saranno tempi certi per le leggi
È vero che i tempi di approvazione delle leggi dovrebbero mediamente ridursi in seguito alla riforma, grazie alle moltissime scadenze introdotte con il nuovo testo. È vero anche che le leggi dovranno seguire percorsi diversi a seconda della loro tipologia. Tuttavia parlare di “tempi certi” è eccessivo, dal momento che non ci sono limiti previsti per i tempi di lavoro delle commissioni e per la discussione del testo e degli emendamenti alla Camera. Il Senato, invece, con la riforma avrebbe 10 giorni di tempo per chiedere di esaminare una legge e altri 30 giorni per approvare le proprie proposte di modifica.

8. La misura NON evita il governo
Anche se i poteri del Governo non vengono modificati esplicitamente con la riforma, è falso affermare che il Governo sia del tutto escluso dai nuovi provvedimenti. In particolare, quattro degli articoli modificati (il 94, il 96, il 97 e il 99) fanno parte del titolo III della Costituzione, ossia “Il governo”. Le due modifiche principali riguardano la fiducia, che non dipenderà più da Camera e Senato ma solo dalla Camera, e l’abolizione del Cnel (il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), che poteva proporre leggi al parlamento ed era considerato un organo del governo.

Anche se i poteri del governo non subiscono cambiamenti, ci sono novità nel rapporto con il parlamento. E dal momento che la repubblica italiana è un equilibrio tra i diversi poteri, modificare quello legislativo crea un effetto indiretto anche su quello esecutivo.

9. Con la riforma NON si risparmiano 500 milioni di euro l’anno
Secondo la Ragioneria di Stato, il risparmio dovuto al taglio dei 215 senatori è quantificabile in 50 milioni di euro all’anno. Oltre a questo risparmio certo, in molti casi sono stati aggiunti altre voci di riduzione di spesa, fra cui per esempio il tetto all’indennità dei senatori (che esiste già), la cancellazione dei rimborsi per le attività di partito come viaggi e cene, l’eliminazione delle province (che hanno già perso potere da due anni) e la riduzione dei conflitti tra Stato e Regioni, un punto molto difficile da quantificare in termini economici. Se 50 milioni è senz’altro una stima per difetto, il fatto che si arriverà a 10 volte tanto resta da dimostrare.

10. Il parlamento che ha approvato la riforma NON è illegittimo
Anche se la legge elettorale con cui è stato eletto questo parlamento (il Porcellum) è stata dichiarata incostituzionale per via del premio di maggioranza e del blocco delle preferenze, questo non basta per definire illegittimo un parlamento. La stessa Corte costituzionale si è già pronunciata sulla legittimità dell’attuale parlamento, che può restare in carica (anche) per modificare la legge elettorale sbagliata. Se il parlamento non fosse legittimo, saremmo finiti nella situazione assurda di non poter sistemare le norme all’origine dell’incostituzionalità.

11. Il presidente della Repubblica NON sarà eletto da 10-15 persone
Con le aule al completo, dopo la riforma serviranno 438 voti per eleggere il presidente della Repubblica. Il caso di un numero di elettori molto ridotto, appena qualche decina, potrebbe verificarsi solo se ci fosse un assenteismo di massa al momento della votazione.

12. Il governo NON ha chiesto la fiducia per approvare la riforma
La notizia che circola online è semplicemente falsa: la fiducia non è stata posta dal governo Renzi in alcuna delle tre letture della nuova legge alla Camera, né al Senato.

13. La Costituzione NON è intoccabile
La possibilità di modifiche al testo costituzionale è prevista dalla stessa Costituzione, come scritto già nel testo originale. All’interno della Costituzione si trova anche l’augurio dei padri costituenti che “i nostri figli”potessero rivedere la Costituzione e “modificarla per il bene del Paese”.

La possibilità di aggiustamenti o aggiornamenti alla carta costituzionale è stata pensata fin dall’inizio, con modalità ben definite, che prevedono anche il ricorso a uno strumento come il referendum per confermare queste modifiche.

14. Col sì NON si smette di eleggere il presidente della Repubblica
Anzitutto perché non è mai stato eletto direttamente. In Italia non ci sono mai state elezioni presidenziali in cui il popolo abbia votato per la presidenza della Repubblica, ma il presidente è sempre eletto dal Parlamento in seduta comune.

15. Il voto degli italiani all’estero NON sarà annullato
Di questa bufala avevamo già raccontato qui. Il fatto che le schede degli elettori residenti all’estero arrivino non ancora vidimate è previsto da una legge del 2001. Non si tratta quindi di una truffa governativa per impedire a chi si trova fuori dai confini nazionali di esprimere il proprio voto, ma al contrario di una procedura pensata per ridurre la possibilità di brogli elettorali. Il timbro viene posto sulle schede elettorali una volta ritornate in Italia, al momento della loro apertura.

(Clicca QUI per la versione originale dell’articolo su WIRED)

24 Novembre 2016

UNA RIFLESSIONE SUL NUOVO PROCEDIMENTO LEGISLATIVO

Cosa Penso

Ma è davvero così complicato
il “nuovo” procedimento legislativo? Una riflessione

15 novembre 2016 di Roberto Bin

Tra le tante cose approssimative che si dicono a proposito della riforma ve n’è una che è quantomeno da discutere: che la riforma renderebbe molto complicato il procedimento legislativo, prevedrebbe una dozzina e forse più di procedimenti diversi, rischierebbe di paralizzare il Parlamento in continui conflitti. Ma è davvero così?

Certo, se si mette a confronto l’esemplare brevità dell’attuale testo dell’art. 70 (“La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere“) con i sette lunghi commi del nuovo testo, può sorgere l’impressione che le cose si complichino troppo. Se si complica il testo della Costituzione, si complica anche la nostra vita?

Dietro la proverbiale concisione dell’attuale art. 70 Cost. si nasconde infatti la causa di almeno due grossi problemi che ci attanagliano da tempo. Da un parte la imprevedibile durata del procedimento legislativo; dall’altra la grande confusione che regna nel nostro ordinamento giuridico.

Attualmente ogni progetto di legge deve essere approvato dalle due camere nello stesso medesimo testo. La Costituzione non ci dice come possa avvenire questo miracolo: sono i regolamenti parlamentari a cercare di semplificare le cose, impedendo alle Camere di modificare all’infinito il testo della legge riaprendo ogni volta la discussione sull’intero testo. Ma anche così per molte leggi passano gli anni prima di veder completato il loro cammino e talvolta arrivano in porto quando ormai le loro norme sono già invecchiate. Per esempio, l’importantissimo “collegato agricoltura” presentato dal Governo Letta nel febbraio 2014 ha chiuso il suo iter nel luglio 2016, solo perché il Senato a deciso di non introdurvi più alcuna modifica, anche se, dopo due anni mezzo, alcune norme non erano più adeguate.

Potremmo continuare all’infinito con gli esempi. Il problema però non è solo la lunghezza dei tempi, anche se c’è il reale rischio che le leggi nascano già vecchie, già superate dai tempi richiesti per la loro approvazione. Ma c’è un rischio ancora maggiore: che nei vari passaggi tra le commissioni e l’aula e tra un ramo e l’altro del Parlamento ogni piccolo e vergognoso interesse corporativo possa infiltrarsi e chiedere – anzi pretendere, se può ricattare con i voti di cui dispone – di vedere infilata nella legge la normina che gli interessa. Il più nobile degli interessi generali può ispirare una legge in partenza, ma il testo che taglia in nastro dell’arrivo può rivelarsi invece la collezione più immonda di favori e riconoscimenti per interessi inconfessabili. Spesso il Governo deve cedere ai ricatti di minoranze assetate di deroghe o privilegi per portare a casa almeno qualche risultato. Checché se ne dica, il bicameralismo perfetto non è affatto un sistema che garantisce serietà e controllo, come spesso si afferma, ma, tutto all’opposto, è il regno delle manovre sottocoperta e degli assalti alla diligenza.

Semplificare il procedimento legislativo significa dunque anche moralizzare la vita pubblica e rendere più evidenti le responsabilità di chi approva le leggi. Lo scriveva Thomas Paine già nel 1792: «Il sistema bicamerale, ammettendo il voto di ciascuna delle due Camere come corpo separato, ammette la possibilità, come spesso avviene in pratica, che la minoranza governi la maggioranza, e ciò in alcuni casi fino al punto di creare gravi contraddizioni».

C’è infatti un altro problema che sarebbe urgente risolvere, quello della confusione che domina il nostro ordinamento legislativo.

Anche qui qualche esempio può servire a chiarire il problema. Nel 2006 il Parlamento, convertendo in legge il decreto sulle Olimpiadi invernali di Torino (2006), pensò bene di infilarci anche alcune norme sulle sanzioni penali per reprimere l’uso delle droghe (la ben nota legge “Fini-Giovanardi”). Qualche anno dopo, con la legge finanziaria per il 2010 (che, come dice la parola stessa, dovrebbe contenere esclusivamente norme finanziarie), si introdussero in alcuni commi di un testo di per sé illeggibile (i commi 184 e 185 dell’art.2) modifiche radicali alla composizione dei consigli e delle giunte comunali e si soppressero i consorzi tra i comuni. Pochi mesi dopo, con il ben noto “decreto salva-Italia” si provvide (nei commi dal 14 al 20 bis dell’art. 23, giusto per aumentare la chiarezza) a stravolgere l’assetto di governo delle Province, eliminando l’elezione diretta dei loro organi.

Sono tutte misure rilevantissime, nascoste nelle pieghe di atti normativi complessi e dedicati a argomenti diversissimi, che sono state infatti dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale proprio per l’eterogeneità della disciplina, facendo così cadere tutti gli atti compiuti durante la loro vigenza. Ma come è possibile che si legiferi così?

Proprio grazie alla tanto lodata chiarezza e brevità dell’art. 70 Cost. Attualmente in Italia le leggi sono tutte eguali. Non che non ci siano tanti procedimenti diversi, sia ben chiaro. Coloro che incolpano la riforma di voler introdurre chissà quanti differenti procedimenti legislativi forse ignorano che già oggi sono molte le varianti di procedura. Alcune leggi possono essere approvate solo in assemblea e non in commissione; per alcune ci sono maggioranze particolari; per alcune ancora ci vuole un’iniziativa del Governo preceduta da accordi o intese o addirittura la consultazione delle popolazioni interessate. Ma non è per questo che il nostro ordinamento è così complicato e confuso. I problemi nascono dal fatto che le leggi “normali” possono avere qualsiasi contenuto, senza limiti. Si possono inerire norme penali per l’uso di stupefacenti in leggi che finanziano gli impianti sportivi o mascherare in norme incomprensibili (“il comma x della legge y è così sostituito”) importanti modifiche degli assetti istituzionali.

E’ chiaro che tutto questo non sparirà con la riforma, derivando da un pessimo modo di concepire la legislazione che è tutto italiano. Ma bisognerebbe capire se la riforma migliorerebbe o peggiorerebbe la situazione, piuttosto che stare a guardare il numero dei procedimenti. La riforma introduce infatti due diversi procedimenti legislativi (di cui uno con due varianti minime).

Il primo procedimento riguarda le c.d. leggi bicamerali: sono le leggi che devono essere approvate da entrambe le Camere (ossia con il procedimento che oggi si applica a tutte le leggi). Queste leggi – in tutto quattordici – sono specificamente individuate dall’art. 70, che le chiama per nome e cognome: ecco perché è così lungo, perché è precisissimo nell’individuarle, in modo da non creare ambiguità e quindi divergenze interpretative. Sono tutte leggi “di sistema” che non vengono approvate o cambiate molto di frequente (leggi costituzionali, leggi su minoranze linguistiche e referendum, leggi su organi e funzioni fondamentali degli enti locali, leggi sulla partecipazione e attuazione politiche dell’UE, leggi sull’elezione dei senatori, leggi che disciplinano l’intervento sostitutivo del Governo nei confronti di Regioni  e enti locali, leggi che disciplina i principi del sistema elettorale regionale…). La cosa più importante è che queste leggi potranno essere modificate solo seguendo la stessa procedura: sono cioè leggi “tipiche”. Non potrà più avvenire che nelle pieghe della legge finanziaria o di qualche decreto legge si cambino – per esempio – gli organi di governo o il sistema elettorale dei Comuni. Così come – ma grazie ad un’altra novità della riforma, che restringe l’uso del decreto-legge e limita gli emendamenti introdotti dal parlamento in fase di conversione in legge – non si potranno più seppellire  in un decreto legge norme come quelle ricordate in precedenza.

Il secondo procedimento è invece imperniato sulla sola Camera dei deputati: ma con un controllo del Senato, che potrà chiedere di esprimere la propria valutazione sulla legge approvata dalla Camera e, se vuole, proporre modifiche. Ma non può paralizzare la Camera: tempi certi garantiscono la Camera che può anche riapprovare il testo della legge senza accogliere le osservazioni del Senato (le varianti di cui accennavo in precedenza riguardano questi aspetti, in relazione a specifiche leggi).

Insomma, non c’è alcuna confusione, nessuna caotica moltiplicazione dei procedimenti, nessun rischio di conflitto tra le Camere. Può sorgere l’impressione però che la funzione legislativa del Senato sia sminuita, ridotta a una pura funzione consultiva, come i critici (un po’ contraddittoriamente) sostengono. Certo tutto dipende da come il Senato si organizzerà, sarà capace di operare a dovere e di conquistare autorevolezza politica: da ciò dipende il peso che potrà esercitare nelle decisioni del Governo e della Camera. E’ una partita tutta da giocare, ma un punto è certo: che l’azione delle autorità pubbliche non potrà che giovarsi dal fatto di far partecipare alla formazione delle leggi i soggetti (Regioni e Comuni) che quella legge dovranno applicare. A tutti conviene superare il conflitto perenne che oppone – molto spesso davanti alla Corte costituzionale – il centro alla periferia. Anche a noi, che ne paghiamo integralmente i costi.

(Clicca QUI per la versione originale dell’articolo)

24 Novembre 2016

Sulla Riforma Costituzionale – LETTERA APERTA

Cosa Penso

C0ndivido con voi questa interessante Lettera aperta sulla Riforma Costituzionale scritta da Roberto BIN, Docente di Diritto Costituzionale presso l’Università degli studi di Ferrara.

La precisione e la serietà delle sue parole mi hanno molto colpito, per questo credo che possa essere utile diffonderla al fine di arricchire questo dibattito spesso troppo rabbioso, sommario e confusionario.

Buona lettura!

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26 Ottobre 2016

La Riforma non è perfetta, ma i suoi nemici hanno torto

Cosa Penso

di Angelo Panebianco, 10/05/2016, via Corriere della Sera (QUI l’articolo originale)

Sarà l’ennesima, tristissima, dimostrazione di quanto possa scadere il dibattito pubblico nei momenti in cui il conflitto raggiunge la massima intensità. Se così non fosse, potremmo fin d’ora divertirci pensando alle scenette involontariamente comiche a cui assisteremo durante la campagna per il referendum costituzionale di ottobre. Come quella in cui qualche nemico della riforma, travolto da insana passione politica, accuserà il Presidente della Repubblica emerito , Giorgio Napolitano, di tradimento della costituzione, di essere complice del «progetto autoritario» concepito dal perfido Erdogan- Renzi .

Nell’intervista al Corriere del 3 maggio, Napolitano ha detto il vero. Se la riforma del Senato non passerà, quella sarà la fine di ogni speranza di rinnovamento della democrazia italiana. Napolitano ha ricordato i tentativi passati, sempre falliti, per fare dell’Italia una vera democrazia governante. Ha anche osservato che l’eterogenea coalizione che dice «no» alla riforma è composta da tre gruppi. C’è il gruppo dei contrari, sempre e comunque, a toccare la Costituzione, quelli per cui (persino) il «bicameralismo paritetico» (due Camere con uguali poteri) è una componente imprescindibile della democrazia. C’è poi il gruppo di quelli a cui non importa molto della Costituzione, quelli che vogliono «fare fuori» Renzi.

Il terzo gruppo, infine, è composto dai perfezionisti, quelli favorevoli, in linea di principio, a riformare la Costituzione ma la cui contrarietà dipende dall’esistenza di sbavature e difetti vari del testo approvato dal Parlamento. Con i primi due gruppi, che chiameremo gli «irriducibili», è inutile discutere. Non possono essere convinti (oltre a tutto, come vedremo, sono tenuti insieme non solo da ragioni ideali ma anche da interessi politici e corporativi). Si può solo mostrare al pubblico la debolezza di molte delle loro argomentazioni.

Il gruppo con cui vale la pena di discutere è quello dei perfezionisti, ostili allariforma a causa di certi suoi difetti attinenti alla composizione del Senato (come la presenza di una quota di sindaci) e ad alcune delle previste competenze. Sono anche gli unici sinceramente interessati a confrontarsi pacatamente (come ha fatto Valerio Onida sul Corriere di ieri). Ai perfezionisti, occorre dire che, sì, la riforma ha qualche difetto ma che questo è inevitabile , si verifica sempre quando un «comitato» in cui sono presenti tante teste e tante sensibilità diverse (un Parlamento è proprio questo) deve deliberare su un provvedimento complesso. Le mediazioni parlamentari, inevitabilmente, «sporcano», almeno un po’, qualsiasi progetto, anche quello che in origine sembrava ottimo, perfetto.

L’ unica possibilità alternativa alle mediazioni parlamentari (con i loro tira emolla e i compromessi necessari per formare una maggioranza) è una riforma imposta dall’alto, dal De Gaulle di turno, e confezionata per lui da un consigliere di fiducia. Se si preferisce la prima soluzione (e penso che siamo d’accordo nel preferirla), quella della mediazione parlamentare, della decisione collettiva assunta da un comitato, allora bisogna rassegnarsi alle imperfezioni. Solo una leggenda ha fatto credere ad alcuni che la stessa sorte non fosse toccata alla Costituzione vigente quando venne confezionata dall’apposito comitato(la Costituente) .

Sabino Cassese (Corriere del 6 maggio) ha mostrato la debolezza degli argomenti dei contrari alla riforma del Senato. Non c’è nessuna «democrazia autoritaria» alle porte. Il governo sarà un po’ più forte (e un po’ più stabile ed efficiente) ma continuerà ad essere bilanciato da contropoteri che esistono oggi ma non esistevano agli albori della Repubblica: le istituzioni europee, la Corte costituzionale, le Regioni. Si rimedierà però a due gravi errori: il bicameralismo paritetico, appunto, che ha reso sempre debole e incerta la navigazione dei governi, e gli effetti della sciagurata riforma del titolo V che spostò dal governo centrale alle Regioni poteri e competenze che non avrebbero mai dovuto prendere quella strada e che mise i governi nella impossibilità di attuare politiche nazionali in alcuni ambiti cruciali.

Piuttosto, è giusto ricordare, come ha fatto Antonio Polito sul Corriere del 9 maggio, che la riforma del Senato è strettamente collegata alla legge elettorale (Italicum). Chi vota (in un senso o nell’altro) sul Senato vota anche, di fatto, su quella legge. Ci sono interessi, politici e corporativi, che, motivi ideali a parte, alimentano la «coalizione del no». In primo luogo, sono ostili diverse Regioni le quali preferiscono di gran lunga tenersi poteri e competenze regalate loro dalla riforma del titolo V, fonti di tante «insane» politiche clientelari, piuttosto che puntare su quell’influenza sana, pulita, che il costituendo Senato delle Regioni consentirebbe loro di esercitare in difesa dei rispettivi territori.

Poi ci sono alcuni settori della magistratura (Magistratura democratica fa parte del comitati per il no, e diversi magistrati stanno facendo campagna contro la riforma). Verosimilmente, temono il rafforzamento del governo, temono che, per effetto di quel rafforzamento, la loro posizione di preminenza entro il sistema politico possa, col tempo, indebolirsi. Ci sono poi gli interessi politico-partitici, quelli dei nemici di Renzi, interni al suo partito ed esterni, di coloro che vogliono affossare la riforma per sbarazzarsi del premier. Nulla da eccepire: è la politica, bellezza. Si può solo concordare con Il Foglio quando rileva una stranezza: Silvio Berlusconi (che ha appena ribadito la sua contrarietà alla riforma) si ritrova ora alleato dei propri storici nemici, di una coalizione che usa contro Renzi gli stessi argomenti che per venti anni ha usato contro di lui. Non c’è alcun progetto autoritario. E Renzi non è Erdogan. Ma il buon senso è una merce rara. Soprattutto in politica.

11 Maggio 2016

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