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Tag Archivio per: #futuro

Smentiti i negazionisti: cambiamenti climatici senza paragoni in almeno 2.000 anni (via Repubblica.it)

Cosa Penso

di MATTEO MARINI per Repubblica, 25/07/2019
(Articolo originale QUI)

Non c’è mai stato un periodo della storia, da 2.000 anni a questa parte, in cui il clima è cambiato così velocemente e in maniera così comprensiva su scala globale. Cade così uno dei pilastri sui quali si fondano alcune delle teorie di chi nega la responsabilità dell’uomo del global warming e della crisi climatica.

Uno degli argomenti più citati dagli scettici spiegare i cambiamenti che il Pianeta sta attraversando negli ultimi decenni, era infatti questo: già in passato, anche nella storia recente, si sono avuti periodi con fluttuazioni delle temperature molto consistenti. I più celebri sono il riscaldamento durante il periodo dell’Impero romano (III-V secolo dopo Cristo), il Periodo caldo medievale (X-XIII secolo) e la Piccola era glaciale, spalmata dal XIV al XVI secolo. Quindi non sarebbe l’uomo a far bollire il Pianeta, ma sarebbe una fluttuazione ‘naturale’ perché si pensava (erroneamente) che questa altalena climatica abbracciasse tutto il globo. Quello che mancava era proprio un confronto tra le varie zone della Terra. Queste fluttuazioni sono registrate anche dagli storiografi, gli annali contengono dunque informazioni soprattutto di quelle regioni all’epoca più ‘civilizzate’, come l’Europa.

Il clima su tutta la Terra

Tre studi, pubblicati su Nature e Nature Geoscience da un team internazionale di ricercatori, hanno ricostruito l’andamento del clima degli ultimi due millenni analizzando anche gli ‘archivi’ che la Natura stessa ci ha lasciato in giro per il mondo. In particolare gli anelli degli alberi nelle foreste dell’emisfero settentrionale, in Nordamerica, Europa e Asia, che registrano con molta precisione le caratteristiche del clima ogni anno; i coralli delle barriere sparse tra l’oceano Indiano, il Pacifico e i Caraibi, il ghiaccio antico in Antartide, al Polo Nord e sui ghiacciai andini e in Himalaya; e i depositi di laghi e mari. Scoprendo che in tutti i casi citati, l’aumento o il crollo delle temperature non si erano verificate dappertutto. Anzi.

Secondo i ricercatori, ad esempio, la Piccola era glaciale aveva interessato il Pacifico nel XV secolo per chiudere nella tenaglia del gelo l’Europa solo nel XVII. Gli artisti ne furono affascinati, soprattutto nel Europa, ne troviamo testimonianza nei dipinti che raffigurarono fiumi e canali in Olanda e Inghilterra (celebre il Tamigi ghiacciato) usati come piste da pattinaggio. Uno dei paper individua nelle eruzioni vulcaniche nella fascia tropicale, la causa del crollo delle temperature nella prima parte del XIX secolo. Il periodo caldo medievale, invece, interessò appena il 40% del globo. Al contrario, il riscaldamento progressivo iniziato dopo la Rivoluzione industriale, attorno al 1850, sta interessando il 98% della Terra. Nessun fenomeno in epoca preindustriale è arrivato ad comprendere una porzione così grande del Pianeta.

Il ”bastone da hockey”

Uno dei grafici riportato dagli scienziati sintetizza molto bene il reale cambiamento. Viene definito hockey stick diagram, il diagramma a bastone da hockey, perché al termine di un periodo con fluttuazioni contenute, mostra un picco nell’innalzamento dei valori. Quello che stiamo sperimentando in questa epoca. La differenza è così evidente che è davvero difficile sostenere che sia qualcosa di naturale, soprattutto se associato a un fatto non sindacabile: da oltre un secolo e mezzo stiamo pompando in atmosfera gas serra in quantità che non si erano mai registrate da centinaia di migliaia di anni.

Di recente si è toccato il record di 415 parti per milione di CO2, e secondo i climatologi tagliare le emissioni potrebbe non bastare per evitare che la temperatura salga ancora, superando quei 1,5 gradi in più rispetto all’epoca preindustriale che è l’obiettivo dell’accordo di Parigi.

 

26 Luglio 2019

“Il declino culturale di Torino” la lettera di Antonella Parigi

In Regione

Il 9 aprile 2019 il Corriere della Sera ha pubblicato una lettera di Antonella Parigi, assessore uscente alla Cultura della giunta Chiamparino, che racconta il difficile rapporto con il Comune di Torino in questi anni. Sono stati tempi difficili, di diffidenza e di lunghi silenzi, noi come Regione ce l’abbiamo messa tutta per non lasciare mai sola Torino.

“Ho letto con attenzione il lungo articolo dedicato alla cultura e al suo rapporto con il turismo. Mi permetto di esprimere alcune opinioni in merito facendo una doverosa premessa: non bisogna confondere Torino con il Piemonte. Il Piemonte è composto da situazioni molto diverse tra di loro, con storie e contesti che vanno analizzati in profondità singolarmente. Concentrerò dunque la mia attenzione su Torino, cominciando con il dire che ha perfettamente ragione Gabriele Ferraris quando afferma che è cambiata la narrazione sulla città. Ha torto nel dire che io mi stupisco: ne sono perfettamente consapevole e dal 2016 ho registrato l’affievolirsi del posizionamento culturale della città di Torino.

Da cosa deriva questo? Provo ad offrire la mia opinione: 

1. Il primo gesto è stato separare la delega della cultura dalla delega del turismo. È legittimo ma comporta dire che la cultura non è motore del turismo. D’altra parte nella campagna elettorale della sindaca Appendino le code ai musei sono state il simbolo di una città che aveva dimenticato le periferie. Così l’impostazione della nuova giunta è stata quella di una cultura pensata non per attrarre turisti ma per ricucire la città. Il simbolo di questa visione è “Luci d’artista: molte sono state spostate in periferia e questo ha fatto sì che che se ne perdesse il senso unitario e di circuito pensato anche per la visita della città. Non sta a me dire se questa scelta abbia migliorato la vita delle periferie.

2. Non conosco nessun settore commerciale e industriale che cresca in assenza di investimenti. Quali sono stati gli investimenti in cultura in questi anni a Torino? Le istituzioni culturali sono state faticosamente in piedi a fronte di bilanci sempre più risicati. Io stessa ho fatto una scelta molto precisa: rinunciare a velleità da assessore per tenere in piedi il sistema culturale della città. Come Regione siamo intervenuti in molti ambiti per sostenerlo. Tutta l’arte contemporanea è sostenuta dalla Regione, il sistema cinema, il sistema teatrale, abbiamo aumentato la contribuzione a Musei e mostre (peraltro senza tanta riconoscenza, come dimostra il caso Fondazione Torino Musei), dato un contributo straordinario al Teatro Regio. Ricordo che la Regione contribuisce al Salone del Libro con 1,2 milioni di euro, a fronte dei 700.000 della città (che peraltro l’anno scorso sono stati 300.000,00). E temo che non sia finita perché vorrei sapere se il bilancio del 2019 della Città preveda nuovi tagli: a prima vista sembrerebbe di sì, ma potrei sbagliarmi.

3. Torino aveva un posizionamento culturale legato alla sperimentazione, alla capacità di produrre nuovi contenuti anche mirati ad un pubblico giovane. Più Berlino che Parigi per capirci. Oggi si pensa ad un capodanno per famiglie. Senza contare che oggi non abbiamo nessun luogo in cui ballare. Sono scelte legittime, ma cambiano il posizionamento della città, ovvero i motivi per cui le persone vengono a Torino.

4. La dinamicità di una città è data non solo dagli eventi, ma da un insieme complessivo di azioni che danno il tenore di ‘energia’ di una città. Non sono io a dover notare che da più parti è stato evidenziato un rallentamento della spinta energetica e di cambiamento che aveva attraversato Torino negli anni passati.

5. Il vituperato «sistema Torino» si è sgretolato. Oggi la sensazione è che ognuno vada un po’ per conto suo. Nessun ente può sostituirsi alla capacità di regia di una città: né la Regione, né l’Unione Industriale, né la Camera di Commercio, né le fondazioni bancarie. Bisogna tornare a scrivere un piano strategico che tenga insieme le diverse visioni della città. E lo deve fare la Città di Torino.

6. Le istituzioni sono fatte di donne e di uomini che le dirigono: in molti casi abbiamo rinunciato all’eccellenza, e anche questo vuole dire.

7. Sulla Reggia di Venaria: il calo dei visitatori è dovuto in gran parte alla chiusura del villaggio di Babbo Natale, Ma certo bene non ha fatto il lungo dissidio tra Direttore e CdA. In ogni caso è evidente che di questo cambiamento nel posizionamento di Torino risentono i musei più legati al turismo, e Venaria è tra questi. Ringrazio il Corriere Torino per aver parlato di cultura. Perché la parola cultura è scomparsa dal dibattito nazionale, ma è scomparsa anche da quello cittadino. Non si tratta solo di programmi politici, ma anche sui media cittadini l’attenzione si è affievolita. Si preferisce parlare di marciapiedi rotti o di buche nell’asfalto. Temi non certo da tralasciare, ma che non rendono giustizia alla mia città, che, vorrei ricordare, non vuole avere un destino da città di provincia.“

[CLICCA QUI PER L’ARTICOLO ORIGINALE]

10 Aprile 2019

UN NUOVO CENTROSINISTRA PER IL PIEMONTE

Appuntamenti

COSTRUIRE FUTURO INSIEME

Ci vediamo lunedì pomeriggio, alla Festa Unità Torino per parlare del futuro della Regione Piemonte insieme alle forze e alle storie che compongono il nostro #centrosinistra.
Quando abbiamo vinto le scorse elezioni questa Regione era, soprattutto dal punto di vista economico, un disastro totale. 4 anni fa ci candidammo infatti proprio per restituire serietà e stabilità al governo del Piemonte, dopo una lunga stagione di scandali e incapacità.
Abbiamo fatto molto per rimettere a posto i conti, ma ora è il momento di rilanciare, di restituire al Piemonte la centralità economica e la serenità sociale che ha perduto dopo la crisi.
La sfida ora è quindi costruire un nuovo Piemonte che sappia dare risposte innovative a criticità storiche (per me si parte da welfare, casa e formazione) e che sappia coinvolgere in questo la visione di nuove generazioni e forze sociali.
Per questo abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti questi preziosi compagni di strada.

15 Settembre 2018

Per promuovere la sostenibilità bisogna essere radicali

Cosa Penso
CORRIERE DELLA SERA – OPINIONI
20 luglio 2018 – 17:20

di Mario Calderini

Ricorderemo questi mesi come quelli nei quali è diventato evidente, su scala globale, quale sia il prezzo vero ed ultimo della non sostenibilità: lo sgretolamento delle istituzioni, lo svuotamento culturale e valoriale delle stesse e le conseguenti imprevedibili trasformazioni sociali e del nostro vivere civile. Indugio su questa riflessione dopo aver ascoltato Enrico Giovannini presso la Fondazione Feltrinelli, e penso che benché avessimo previsto un conto salatissimo per la sostenibilità mancata, lo avevamo immaginato differito nel tempo e non certo in questa forma così improvvisa a violenta. E invece il frutto avvelenato di un modello di crescita non sostenibile si presenta oggi ed improvvisamente in forma di diseguaglianza, esclusione e rabbia sociale. Da questo nasce l’urgenza e l’imperativo di ridefinire i termini dell’agenda di sostenibilità, passando dalla fase dell’advocacy e della narrativa alla fase della radicalità. Radicalità significa non accondiscendere, in campo finanziario o imprenditoriale, ad interpretazioni di maniera del concetto di sostenibilità, relegandolo ad una dimensione di marginalità e lateralità. Radicalità significa per imprenditori, investitori e filantropi riconoscere l’insostenibilità di un modello nel quale si allocano risorse proprio a quelle attività che generano squilibri e diseguaglianza per poi tentare di mitigare le conseguenze delle stesse con azioni compensative di supposta responsabilità. Radicalità significa anche non confondere le ovvie esternalità positive che ogni investimento in un’impresa ben gestita è in grado di generare, con un impatto sociale o ambientale intenzionalmente perseguito e raggiunto.

La responsabilità sociale d’impresa genericamente intesa non è radicale, così come non lo è la finanza che si compiace nell’aggettivarsi etica, sociale, sostenibile o verde. Non è radicale quell’esercizietto rendicontativo che è il bilancio sociale o ambientale, non è radicale il richiamo ossessivo e consolatorio ai criteri ESG. Tutto virtuoso, importante ed apprezzabile, in quanto in linea con i fondamentali obiettivi di Agenda 2030, ma privo della radicale capacità trasformativa che è oggi necessaria per contenere la deriva sociale e istituzionale. Ed è proprio la capacità trasformativa il segno che deve qualificare le azioni che ambiscono ad iscriversi in un’agenda di sostenibilità robusta, concreta e strutturata. Capacità trasformativa che si declina nella ricerca di soluzioni a problemi sociali emergenti con modelli di intervento caratterizzati da intenzionalità, misurabilità e addizionalità. Intenzionalità significa incorporare inscindibilmente la ricerca della soluzione nel modello di intervento o di business, eventualmente accettando consapevolmente di sacrificare parte del risultato economico, misurabilità significa saper dare conto della soluzione raggiunta, addizionalità significa farlo in aree di intervento nelle quali i normali meccanismi di mercato non funzionano appropriatamente. Se è per certi versi scontata l’applicabilità di questi criteri nel terzo settore, molto più selettiva è l’applicazione degli stessi alle forme di impresa o di attività finanziaria che operano nei settori tradizionali.

La radicalità consiste, a mio parere, nel distinguere selettivamente sulla base di questi criteri, non per separare buoni e cattivi o giusti e sbagliati, ma semplicemente per dare i nomi giusti alle cose giuste. Perché se tutto è sostenibilità, nulla è sostenibilità, se tutto è responsabilità d’impresa, nulla è responsabilità di impresa, se tutto è impatto sociale, nulla è impatto sociale. Proprio il settore finanziario è oggi un esempio plastico della possibile deriva strumentale che può assumere l’adesione massiva alla narrativa della sostenibilità e dell’impatto sociale cui stiamo assistendo. Il 2018 sarà ricordato come l’anno della finanza ad impatto sociale, per numero e rilevanza delle iniziative. Una buona notizia dunque, perché se intendiamo l’impact investing come l’insieme degli strumenti definiti dai tre criteri sopra descritti, significa che si stanno liberando risorse al servizio di una grande azione trasformativa, sostenendo imprenditori capaci di trovare soluzioni innovative, concrete e di grande scala alla diseguaglianza, all’esclusione e al disagio. Una pessima notizia invece, se questa proliferazione si traduce semplicemente in impact-washing, una vuota ri-etichettatura di strumenti finanziari del tutto sconnessi da bisogni e problemi reali e dalle relative soluzioni. Perché, le soluzioni, in fondo, sono l’unica cosa che veramente conta.

*School of Management Politecnico Milano

26 Luglio 2018

PREMIO NAZIONALE NATI PER LEGGERE

In Regione

Promozione della Cultura, del Turismo e dello Sport – Determina dirigenziale 21 dicembre 2017, n. 720

Bando Premio nazionale Nati per Leggere IX edizione

Nel bando sono previste 4 sezioni.

I Sezione: NASCERE CON I LIBRI

La sezione, che premia i migliori libri editi o inediti in Italia, prevede candidature da parte degli editori ed è suddivisa in tre diverse categorie, corrispondenti a tre diverse fasce di età e di sviluppo del bambino:

  • “il primo libro”: libri cartonati che, per forma, materiali, dimensioni e contenuto, risultino adatti alle capacità manipolative, percettive e cognitive di bambini tra i 6 e i 18 mesi di età;
  • libri o albi illustrati per bambini di età compresa tra i 18 e i 36 mesi;
  • libri o albi illustrati per bambini di età compresa tra i 3 e i 6 anni. La sezione premia un vincitore per ciascuna categoria ed è aperta a tutti gli editori che pubblicano in lingua italiana

Gli editori interessati dovranno, entro e non oltre il 15 marzo 2018:

– compilare il form d’iscrizione disponibile alla pagina http://natiperleggere.salonelibro.it/nascere_con_i_libri

ed inviare quattro copie di ciascun titolo in formato cartaceo a: Segreteria Premio Nazionale NpL, Salone Internazionale del Libro, piazza Bernini 12, 10143, Torino.

II Sezione: CRESCERE CON I LIBRI

Questa sezione prevede un premio assegnato direttamente dai lettori che scelgono una rosa di finalisti per i migliori libri o albi illustrati per fascia di età 3 – 6 anni,  in relazione a un tema specifico. Per questa edizione il tema di questa sezione, scelto dalla Giuria è: “Un posto per crescere: la tana e la casa”. Le realtà che partecipano alla IX edizione sono, oltre a Torino (capofila), Iglesias-Carbonia, Monza, la Rete Npl Campania e Genova.

III Sezione: RETI DI LIBRI

Questa sezione premia, tra i progetti sviluppati secondo le linee del programma Nati per Leggere :

  • il miglior progetto locale consolidato da almeno 5 anni
  • il miglior progetto di recente istituzione Per partecipare alla sezione Reti di Libri i soggetti interessati dovranno compilare il form d’iscrizione disponibile alla pagina http://natiperleggere.salonelibro.it/nascere_con_i_libri entro e non oltre il 15 marzo 2018. I soggetti candidati dovranno inoltre segnalare un pediatra di libera scelta o ospedaliero che si sia particolarmente distinto nell’ambito della rete, come candidatura per la sezione Pasquale Causa.

IV Sezione: PASQUALE CAUSA

Con questa sezione il Premio Nati per Leggere intende onorare la memoria del dott. Pasquale Causa, pediatra di libera scelta che ha contribuito in modo determinante alla diffusione di Nati per Leggere. Il premio annuale viene assegnato a un pediatra che, aderendo al programma, abbia promosso nel modo più efficace e continuativo presso genitori e famiglie la pratica della lettura ad alta voce ai bambini in età prescolare. Per partecipare alla sezione Pasquale Causa i soggetti interessati dovranno compilare il form d’iscrizione disponibile alla pagina http://natiperleggere.salonelibro.it/nascere_con_i_libri  entro e non oltre il 15 marzo 2018.

La cerimonia di premiazione si svolgerà in occasione del XXXI Salone Internazionale del Libro di Torino, dal 10 al 14 maggio 2018.

http://www.regione.piemonte.it/governo/bollettino/abbonati/2018/01/siste/00000265.htm

8 Gennaio 2018

METTIAMOCI IN CAMMINO

Cosa Penso

Uno dei pilastri che da sempre sostengono il mio impegno politico, è senza dubbio la volontà di fare qualcosa  di concreto per cambiare in meglio la vita delle persone. La politica è infatti, secondo me, servizio verso la comunità, portando avanti iniziative e progetti che a nostro avviso abbiano un impatto positivo sulla vita dei cittadini.
Il primo motivo per cui sostengo e voterò Matteo Renzi alle primarie di domani è proprio l’impegno concreto e determinato che ha dimostrato durante i suoi mille giorni di governo, nel portare avanti una serie di importanti riforme che potessero finalmente dare un po’ di respiro a questo paese. Mi riferisco a misure come il Dopo di noi, la legge di lotta al Caporalato, le Unioni Civili, gli 80 euro, gli investimenti sull’istruzione della Buona scuola, l’Art Bonus e lo School Bonus. Molte sono le cose ancora da fare o da migliorare, ma l’Italia aveva davvero bisogno di una prima scossa, e il Governo Renzi ha lavorato tenacemente per provarci.
Il secondo motivo per cui sostengo Matteo Renzi è che dopo essere stato criticato da chi lo vedeva come un “uomo solo al comando”, ha deciso, per migliorare e migliorarsi, ha deciso di proporre in questo congresso una candidatura “a quattro mani”, affiancadosi in tutto e per tutto al Maurizio Martina, Ministro dell’agricoltura e uomo dalla grande cultura di partito. Il loro programma politico, che potete leggere qui, tocca tutti i temi che io ritengo essere fondamentali: il sociale, l’innovazione, un’Europa diversa, il lavoro e i giovani.

Il centrosinistra oggi più che mai ha bisogno, soprattutto di fronte all’emergere dei populismi e delle destre che agitano l’odio sociale, della determinazione e della forza propositiva di un leader come Matteo Renzi, che sappia portare avanti con coraggio e con una squadra rinnovata, i cambiamenti di cui questo paese ha un disperato bisogno.

29 Aprile 2017

LE SFIDE DEL PD – RIFLESSIONE A FREDDO

Cosa Penso

Sono molto dispiaciuto per la sconfitta del Sì al referendum.

Mi sono speso molto per sostenere le ragioni di una proposta che continuo a ritenere migliorativa, di tanto, del nostro sistema istituzionale e son convinto che si sia persa una #opportunità.

In un paese in cui non si dimette mai nessuno, ho apprezzato la #coerenza di Matteo Renzi, che un’ora dopo la chiusura dei seggi ha ammesso la sconfitta, attribuendola in primo luogo a sé stesso, e si è dimesso. Coerentemente con quello che aveva detto lungo la campagna elettorale (quanta distanza fra quanti hanno ripetuto per mesi che non avrebbe dovuto dimettersi, salvo berciare un secondo dopo il primo exit poll “dimissioni, dimissioni!“).

Ora il Partito Democratico ha tre #sfide davanti a sé.

1. Capitalizzare e non disperdere il #voto a sostegno della riforma, poiché evidentemente solo il PD e Renzi sono in grado di attrarre un così consistente voto a favore, costruttivo. Il resto è un voto contro, ma con origini, motivi e appartenenze diverse e inconciliabili; siamo al tempo stesso una minoranza e una maggioranza relativa. Insomma, Renzi deve proporsi per continuare a guidare il Partito (e cominciare a farlo di più).

2. Chiarire una volta per tutte e decisamente in fretta le #regole fondamentali per lo stare insieme nel partito. Un partito grande come il nostro può contenere posizioni differenti e anche reggere voti differenti (peraltro solo nel PD è capitato, non ho sentito nessun Forzista o nessun grillino votare diversamente dal rispettivo Capo-mai-eletto), ma il #modo e il #tono con cui queste differenze si esplicitano non sono indifferenti. Insomma, un #congresso in tempi brevi.

3. Coniugare il nostro senso di #responsabilità con l’opportunità di non essere sempre da soli a farcene carico. Se Bersani non avesse fatto il “responsabile” sostenendo Monti, se non avessimo fatto i “responsabili” accordandoci con Berlusconi per il governo Letta, se non ci fossimo caricati noi il mandato a fare le riforme che Napolitano chiese non a noi ma a tutti il giorno della sua elezione… la storia sarebbe andata diversamente.

Insomma, d’ora in poi un po’ di #tattica in più e, comunque, al #voto il prima possibile.

5 Dicembre 2016

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